Nel Lazio superati i cento contagi. Altri se ne potrebbero registrare per tutto il prossimo mese. Ma, giurano gli esperti, l'epidemia di Chikungunya in Italia è limitata. Identificato il virus nei campioni di sangue
Il virus è stato isolato: Chikv/Ita/Lazio-Inmi-2017 il nome riconosciutogli dai ricercatori del laboratorio di virologia dell'Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma. Ma l'epidemia di Chikungunya in corso nel Lazio (102 i contagi registrati finora) potrebbe durare almeno per un altro mese. «Perché in Italia la zanzara tigre è attiva da marzo a ottobre», afferma Massimo Galli, direttore della clinica universitaria di malattie infettive all'ospedale Sacco di Milano e vice-presidente della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit). Non è in discussione il ruolo che l'andamento climatico ha avuto nello sviluppo di questa epidemia, che ha determinato il blocco alle donazioni di sangue nelle zone Sud ed Est di Roma. «Una temperatura media annua superiore agli undici gradi è un fattore che favorisce la sopravvivenza delle uova e il mantenimento nell’area interessata di popolazioni attive di zanzare».
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IL RUOLO DEL CLIMA NELLA DIFFUSIONE DELLA CHIKUNGUNYA
Alla base dell'aumento dei casi potrebbe esserci dunque il progressivo aumento delle temperature registrato tanto durante lo scorso inverno quanto durante l'estate appena trascorsa. Come spiega Gianni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell'Istituto Superiore di Sanità, «quando ci sono dei focolai abbastanza maturi come quello di Anzio è possibile che ci siano diffusioni in altre zone. Una situazione analoga si registrò dieci anni fa in Romagna: con la segnalazione di alcuni casi a Bologna, a Ravenna e a Rimini. Gli interventi in atto, a partire dalla disinfestazione, in associazione anche al termine della stagione calda, pongono le condizioni per il controllo dei focolai esistenti dell’infezione». Quella in corso in Italia è comunque considerata un'epidemia dalle proporzioni contenute, rispetto ad altre registrate di recente in aree tropicali. Segno che le condizioni ecologiche che da una parte hanno favorito il diffondersi del virus «non sono comunque pienamente favorevoli all'ampia diffusione della malattia».
IL VIRUS SI DIFFONDE ATTRAVERSO LA ZANZARA TIGRE
La Chikungunya non può prescindere dalla prezenza delle zanzare del genere Aedes. la specie coinvolta in Italia è Aedes albopictus: più nota con il nome di zanzara tigre, le cui prime presenze in Italia risalgono al 1990. L'insetto è in grado di trasmettere anche altre infezioni: il virus Zika, la Dengue e la febbre gialla, anche se quest'ultima in maniera meno efficiente. Spiega Galli: «Una mutazione, avvenuta probabilmente all’inizio di questo secolo, ha consentito al virus di adattarsi alla zanzara tigre, che ne è diventata un importante vettore, rendendo la malattia potenzialmente diffusibile nel nostro paese e in altre aree dell’Europa mediterranea». Detto ciò, occorre ricordare che la malattia è generalmente benigna e guarisce spontaneamente. A caratterizzarla è una febbre che nei primi giorni può essere molto alta e accompagnata da dolori articolari intensi: permanenti pure per diverse settimane.
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VERSO UN TEST PER LA DIAGNOSI PRECOCE
I sintomi esordiscono con la febbre 3-7 giorni dopo la puntura della zanzara. Il virus è presente in circolo per circa cinque giorni dopo le prime manifestazioni della possibile infezione. In questo periodo può essere assunto da una zanzara di una specie suscettibile in grado di pungere a sua volta il malato: con conseguente trasferimento del virus. Al momento non c'è la possibilità di riscontrare rapidamente in un campione di sangue la presenza del virus che provoca la Chikungunya. Ma, fanno sapere dal Centro Nazionale Sangue e dall'istituto Superiore di Sanità, diversi ricercatori sono al lavoro. «Per un responso occorrerrà attendere ancora alcuni giorni, però». In caso di esito positivo, lo stop alle donazioni potrebbe non essere più necessario. Ma è ancora presto per cantare vittoria.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).