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Neuroscienze
Paola Scaccabarozzi
pubblicato il 06-09-2022

Alzheimer: quando una fiction può essere d'aiuto


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Film e serie tv raccontano la malattia di Alzheimer: con quali risultati? Riescono a rappresentare la realtà? Il caso This is Us

Alzheimer: quando una fiction può essere d'aiuto

Può una fiction aiutare chi è colpito (direttamente o indirettamente) dalla malattia di Alzheimer? In che misura si riesce a rappresentare le condizioni di vita di malati e familiari? Il caso della serie This is Us è stato studiato dall’Università di Pittsburgh ed è finito sulle pagine del Journal of Health Communication. Ma non sono stati i primi.

 

IL CINEMA

La famiglia Savage (2007) con un Philip Seymour Hoffman strepitoso; Una sconfinata giovinezza (2010) di un Pupi Avanti drammaticamente poetico; Amour di Michael Haneke che gli è pure valso l’Oscar come miglior film straniero; Still Alice del 2014, ma scritto sette anni prima dalla neuroscienziata Lisa Genova; Supernova di Harry Macqueen; Falling. Storia di un padre di Viggo Mortensen; The father. Nulla è come sembra con il superbo Anthony Hopkins… solo per citare alcuni dei numerosi film che, con grazia e maestria, hanno affrontato il complesso e delicato tema della malattia di Alzheimer.

 

LA TELEVISIONE

Ma non finisce qui perché, oltre al Grande Schermo, anche la televisione statunitense con la serie This is Us ha avuto il coraggio di fare i conti con questo maledetto ladro della memoria che colpisce, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa 50 milioni di persone nel mondo e, prevedibilmente raggiungerà i 75,6 milioni nel 2030 e i 135,5 milioni nel 2050. Numeri impressionanti che vanno di pari passo con l’aumento della popolazione mondiale e della sua longevità. Una malattia dunque che riguarda tutti: ognuno di noi, in un modo o nell’altro, sa che cosa significhi questo Tsunami in grado di ribaltare l’esistenza di una famiglia.

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TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

 

DALLA FICTION ALLA REALTÀ

Ideata dal regista e produttore cinematografico americano, Dan Fogelman, This is Us è una serie trasmessa negli Stati Uniti dal 20 settembre 2016 al 24 maggio 2022 dall’emittente NBC (National Broadcasting Company). Visibile anche in Italia su Prime Video e Disney+, è una storia familiare molto articolata che ripercorre la vita di una coppia e della sua progenie nel corso di un lungo arco temporale. Tra le numerose problematiche che la famiglia dovrà affrontare, nella quarta stagione della serie (sono sei in tutto) c’è anche la diagnosi di Alzheimer. L’impatto e il significato che questa storia di malattia ha avuto su milioni di spettatori che hanno seguito la serie, è stato per la prima volta oggetto di studio, pubblicato sul Journal of Health Communication, da parte della University of Pittsburgh School of Public Health.

 

L’ESPERTA: UNA RAPPRESENTAZIONE REALISTICA

«Ciò che è emerso - spiega la professoressa Daniela Mari, geriatra dell’Istituto Auxologico Italiano di Milano - è l’utilità di affrontare tutte le dinamiche che la diagnosi di malattia di Alzheimer mette regolarmente in atto. Dal diniego alla rabbia, dal desiderio di tentare tutte le strade possibili per rallentare il decorso della malattia all’arrendevolezza. Atteggiamenti vari ed eventuali che si alternano e sovrappongo all’interno delle famiglie. Ho visto, come accade in maniera estremamente realistica in This is Us, fratelli con percezioni e idee opposte. Ho assistito a pianti e litigi, incredulità e speranze. Dunque la serie costituisce uno strumento importante per raccontare una realtà sempre più comune. E avere la possibilità di accedervi facilmente, seduti sul divano di casa, rappresenta un ulteriore motivo per sottolineare il valore di questo lavoro. Talvolta l’idea di dover uscire per andare al cinema impigrisce, soprattutto se ciò che si andrà a vedere uno spettacolo non certo leggero e rilassante».

 

L’AUTOREVOLEZZA, CONDITIO SINE QUA NON PER UNA COMUNICAZIONE CORRETTA

«Ulteriore motivazione per incoraggiare la visione di una serie come questa - prosegue Mari - è il rigore scientifico con cui è stata condotta. La trama è stata infatti sviluppata consultando la Hollywood Health & Society, University of Southern California, al fine di trattare l’argomento in modo accurato e corretto dal punto di vista medico. Inoltre, dopo il finale della quarta stagione, è stato svolto un sondaggio online che ha coinvolto più di 700 spettatori e, a seguire, un focus group con una dozzina di questi partecipanti. Tutti elementi che mettono l’accento su quanto una comunicazione validata dal punto di vista scientifico faccia la differenza sostanziale nel mare magnum di informazioni talvolta approssimative». L’obiettivo duplice è possibile proprio per le modalità esecutive: da una parte quello di aiutare gli scienziati a comprendere meglio i bisogni di coloro che sono affetti da Alzheimer e delle loro famiglie; dall’altra uno strumento per gli spettatori.

 

IL BENEFICIO DI CONDIVIDERE E IDENTIFICARSI

«Chi guarda infatti le vicende della famiglia raccontata in This is Us - afferma Mari - riesce a identificarsi, si sente quindi meno solo e magari riesce anche a comprendere le dinamiche che caratterizzano l’atteggiamento di altri familiari. È inoltre un modo per uscire dallo stigma, per far sì che una tematica come questa diventi un argomento di conversazione. È utile per imparare a considerare le persone affette da demenza come membri della nostra comunità a tutti gli effetti. La condivisione di una condizione complessa come quella della malattia di Alzheimer, sia per chi ne è affetto e si rende conto di esserlo (in alcuni fasi della malattia e in maniera differenziata a seconda dei casi), sia per i caregivers (familiari e chi accudisce in generale) rappresenta infine uno stimolo fondamentale per trovare nuove soluzioni e per alleggerire un po’ un carico psicologico molto gravoso».

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Paola Scaccabarozzi
Paola Scaccabarozzi

Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.   


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