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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 14-03-2024

Tumore del colon: diagnosticarlo con un esame del sangue?



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Individuare il tumore con un prelievo di sangue è possibile ma la colonscopia rimane l'indagine più efficace per intercettare le forme precoci di malattia

Tumore del colon: diagnosticarlo con un esame del sangue?

La diagnosi di tumore del colon-retto potrà essere effettuata anche grazie ad un prelievo di sangue. Ad affermarlo è uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine. Attenzione però alle facili interpretazioni: il test in questione è in grado di rilevare la presenza della malattia con una sensibilità del 100% solo nei tumori in stadio II o successivo. Al contrario, lesioni precancerose e forme precoci non riescono ad essere identificate con altrettanto successo. Ecco perché lo screening per il sangue occulto delle feci e la colonscopia rimangono ancora gli esami fondamentali per intercettare la malattia sul nascere. 

IL TUMORE DEL COLON-RETTO

Ogni anno in Italia, secondo le stime dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica, si registrano oltre 50 mila nuovi casi di tumore del colon retto. Seconda neoplasia più diffusa dopo il tumore al seno, nel 2022 il tumore del colon-retto ha causato oltre 22 mila decessi. Più diffuso nella fascia di età tra i 60 e i 75 anni, la sopravvivenza netta a 5 anni dalla diagnosi è pari al 65% negli uomini e 66% nelle donne. Una percentuale che varia enormemente a seconda di quando avviene la diagnosi. Prima si diagnostica la malattia e maggiori sono le probabilità di guarigione.

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IL RUOLO DELLA DIAGNOSI PRECOCE

Una delle principali caratteristiche del tumore del colon-retto è la sua lenta evoluzione. La neoplasia vera e propria è preceduta dalla formazione di polipi che, nel tempo, possono evolvere e dare luogo al tumore. Ecco perché, riuscire ad intercettare i primi segni di malattia, aumenta enormemente le probabilità di guarigione. L'esame più diffuso a tale scopo è lo screening per la ricerca del sangue occulto nelle feci. Andare a ricercare la presenza di tracce di sangue è utile perché l’eventuale positività all'esame può indicare la presenza di una lesione infiammatoria della mucosa intestinale e quindi la presenza di un polipo (che nel tempo potrebbe trasformarsi in tumore) o della neoplasia già in stadio avanzato. Offerto gratuitamente come screening oncologico a tutte le persone comprese nella fascia di età 50-69 anni (ma in alcune Regioni come la Lombardia l’offerta è estesa fino ai 74 anni), in casi di positività si procede ad effettuare una colonscopia per meglio indagare l'evoluzione della malattia ed eventualmente rimuovere i polipi presenti. A testimonianza della bontà di questo approccio, diversi studi clinici hanno dimostrato che la mortalità causata dal tumore al colon-retto si riduce di una percentuale compresa tra il 15% e il 33% nelle persone che si sono sottoposte al test della ricerca del sangue occulto nelle feci.

IL TEST

Nonostante l'indubbia efficacia dello screening, solo il 38,7% (ma con ampie differenze Regionali) degli aventi diritto si sottopone al test. Scarsa consapevolezza e reticenza nell'affrontare l'eventuale colonscopia sono due dei fattori che limitano enormemente l'adesione allo screening. Ecco perché da tempo si stanno studiando possibili nuovi metodi alternativi di diagnosi precoce. Ad oggi sono molti gli esami in fase di sviluppo che mirano a rilevare l'eventuale presenza dei tumori attraverso un prelievo sanguigno. Il concetto di fondo è che qualsiasi tumore, quando si sviluppa, rilascia nel sangue tracce di Dna rilevabili. La sfida è capire se realmente quei frammenti di Dna appartengono al tumore e soprattutto a quale tipologia di neoplasia. Uno di questi esami, sviluppato in maniera specifica per il tumore del colon-retto, è il test sviluppato dall'azienda "Guardant".

I RISULTATI

Nello studio pubblicato sul New England Journal of Medicine i ricercatori hanno sottoposto al test 8 mila persone. Queste, dopo il prelievo, sono state valutate tramite una colonscopia per incrociare il dato proveniente dall'analisi del sangue. Dalle analisi è emersa una sensibilità del test -ovvero la capacità dell'esame di identificare i soggetti che presentano la malattia- pari al 100% nei casi di tumore del colon-retto in fase II e superiori. Nelle fase I invece la sensibilità è stata del 65%. Percentuale crollata al 13,5% nell'individuazione delle lesioni precancerose. 

PRO E CONTRO

Risultati importanti, quelli ottenuti nello studio, che indicano chiaramente l'utilità del sottoporsi all'esame per quella fetta di popolazione che deliberatamente decide di non aderire allo screening. C'è un però: la scarsa capacità nell'individuare le lesioni precancerose preoccupa e non poco la comunità scientifica. Il test infatti, allo stato attuale, non raggiunge affatto le performance del classico screening. Con la colonscopia la sensibilità nello scovare le lesioni precancerose può arrivare al 98%. E sono proprio questo tipo di lesioni quelle che quando vengono individuate precocemente consentono di "risolvere" la situazione poiché possono essere rimosse facilmente con la colonscopia. Ecco perché lo screening per la ricerca del sangue occulto nelle feci e la colonscopia rimangono ancora gli esami più affidabili per ridurre la mortalità nel tumore del colon-retto. Il test messo a punto è sicuramente un'arma in più ma è bene sapere che non si tratta di un'alternativa al percorso classico.

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Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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