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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 09-04-2022

Durante il lockdown depresse 5 persone su 10



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I più colpiti risultano giovani e donne. Peggiora l’alimentazione. Un’altra ricerca italiana: Long Covid diverso per ogni variante del virus

Durante il lockdown depresse 5 persone su 10

In Italia durante il lockdown per la pandemia da virus Sars-CoV-2 e Covid-19, l’88,6 per cento delle persone sopra i 16 anni ha sofferto di stress psicologico e quasi il 50 per cento di sintomi di depressione, con le persone più giovani, le donne e i disoccupati che si sono rivelati più a rischio. Sono questi i risultati di una indagine condotta dall’Iss (Istituto superiore di Sanità) e dall’Unità di Biostatistica Epidemiologia e Sanità Pubblica del Dipartimento di Scienze Cardio-toraco-vascolari e Sanità pubblica dell’Università di Padova, appena pubblicata dalla rivista Bmj Open.

 

PEGGIORA L’ALIMENTAZIONE

Lo studio si basa su interviste somministrate via web attraverso il portale del progetto #prestoinsieme. In totale hanno risposto 5.008 persone, di età media 37 anni e in prevalenza donne (63 per cento). Ecco i risultati principali:

  • l’88,6 per cento del campione ha lamentato sintomi di stress psicologico, più frequente nelle donne (il 63 per cento) e nei disoccupati
  • metà dei soggetti hanno sofferto di sintomi depressivi moderati (il 25,5 per cento) o gravi (il 22). Le giovani donne hanno mostrato una maggiore probabilità di sintomi gravi
  • il 23,3 per cento ha mostrato un impatto psicologico moderato o severo. Anche in questo caso le donne e i giovani sono emersi come i gruppi più a rischio
  • in generale si è assistito ad un peggioramento della qualità della dieta, con un consumo meno frequente di latticini, frutta e verdura, e, in particolare per soggetti con sintomatologia depressiva, un incremento dei consumi di cibi ricchi di grassi e zuccheri.
 

OLTRE ALLE CURE FISICHE, SOSTEGNO PSICOLOGICO

«Questi risultati – concludono gli autori – possono essere utili nella valutazione complessiva delle risposte a nuovi focolai pandemici, perché forniscono indicazioni sulla necessità di implementare programmi pubblici di supporto psicologico per la comunità a fianco delle misure per il controllo pandemico. La conoscenza dei possibili effetti di una pandemia anche su chi non subisce direttamente il trauma della malattia, può comunque avere delle conseguenze a medio e lungo termine su ampie fasce di cittadini».

 

I CIBI DOLCI E GRASSI “CONSOLANO”

I ricercatori sottolineano l’aspetto della nutrizione: «Il fatto che si assista anche ad un cambiamento in senso peggiorativo di abitudini alimentari, ci pone di fronte all’evidenza che alti livelli di stress portano al bisogno di nutrirsi in modo “consolatorio”. L’aumento di zuccheri e grassi nella dieta quotidiana, per periodi di tempo lunghi, va ad appesantire il nostro metabolismo e ha conseguenze nello stato di salute delle persone più fragili. I risultati di una cattiva alimentazione, l’aumento di peso o l’insorgere di malattie connesse, si ripercuotono anche a livello psicologico. Agire preventivamente nell’educazione alimentare, aiuta sicuramente ad arginare le conseguenze di periodi di stress, individuali o comunitari, che registrano un costo sociale».

 

 

MA L’INFEZIONE LASCIA STRASCICHI

Un’altra ricerca italiana condotta dall’Università di Firenze con l’ospedale Careggi viene presentata a Lisbona (Portogallo) al Congresso europeo di microbiologia clinica e malattie infettive del 23-26 aprile, sempre sul tema Covid, ma in particolari sui postumi che ci sono per oltre la metà di chi ha avuto l’infezione. Si parla così di Long Covid, che a volte lascia strascichi molto lunghi. Qui gli autori, guidati dal dottor Michele Spinicci, hanno condotto uno studio osservazionale retrospettivo seguendo 428 pazienti (254 – 59 per cento – uomini e 174 – 41 per cento- donne) dimessi dall’ospedale all’incirca 53 giorni prima. Circa tre quarti, il 76 per cento, hanno riportato almeno un sintomo persistente. I sintomi più comuni riportati sono stati mancanza di respiro (37 per cento) e affaticamento cronico (36) seguiti da problemi di sonno (16), problemi visivi (13) e nebbia cerebrale (13). Le analisi suggeriscono che le persone con forme più gravi, che hanno richiesto l'uso di farmaci immunosoppressori, avevano 6 volte più probabilità di riportare sintomi di Long Covid. Chi ha ricevuto un supporto di ossigeno ad alto flusso aveva il 40 per cento in più di probabilità di avere problemi di lungo corso.

 

LE DONNE IL DOPPIO DEI POSTUMI

Le donne avevano quasi il doppio delle probabilità di riferire sintomi di Long Covid rispetto agli uomini. I pazienti con diabete di tipo 2 sembravano avere un rischio inferiore: gli autori precisano che sono necessari ulteriori studi per comprendere meglio questa scoperta inaspettata. L’indagine fiorentina si è volta a considerare un eventuale rapporto tra varianti del virus e Long Covid. Una prima indagine ha considerato il periodo marzo-dicembre 2020 quando era dominante il virus originario e il periodo gennaio-aprile 2021 quando l’Alfa era la variante dominante. Sono state trovate significative diversità nel modello dei problemi neurologici e cognitivi/emotivi.

 

 

A OGNI VARIANTE IL SUO LONG COVID

Quando dominava la variante Alfa sono prevalse la mialgia (dolori muscolari), insonnia, nebbia cerebrale, ansia/depressione mentre risultavano meno comuni l’anosmia e l’ageusia (perdita dell’olfatto e del gusto). I ricercatori riconoscono che il loro è uno studio osservazionale, dunque non dimostra causa ed effetto, ma accende un faro su un problema non di poco conto. Conclude il dottor Michele Spinicci: «La lunga durata dei postumi del Covid-19 e l’ampia gamma dei sintomi ci ricordano che il problema non sta scomparendo e dobbiamo fare di più per proteggere questi pazienti sul lungo termine». 

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Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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