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Inquinamento da plastiche e microplastiche

Inquinamento da plastiche e microplastiche
 

COS'È

Leggere, resistenti e anche piuttosto economiche quando prodotte su scala industriale. Le plastiche – parliamo al plurale perché ne esistono di diverse tipologie – hanno senza dubbio rivoluzionato l’economia e la vita quotidiana sin dai primi anni della loro introduzione sul mercato, ma soprattutto a partire dal secondo dopoguerra quando questo materiale ha cominciato ad essere presente praticamente in tutte le attività dell’uomo. Strumenti da cucina, arredamento, ma anche oggetti d’arte e di moda, e oggi – grazie alla produzione di tecnopolimeri (molecole con speciali caratteristiche meccaniche e di resistenza) – anche componenti di motori di automobili, lenti a contatto, strumenti di laboratorio e scudi antiproiettile. Insomma non c’è settore della vita umana che non abbia a che fare con la plastica, tanto che si è giunti a parlare di “plasticene”, un’epoca dominata dalla plastica. Il dizionario Treccani riporta alla voce plasticene: “Denominazione polemica dell’epoca che ha inizio negli anni Cinquanta del Novecento, caratterizzata dalla crescita dell’inquinamento da plastica non biodegradabile, con ripercussioni negative che interessano anche la catena alimentare umana”.

A tutti gli effetti, se da un lato l’introduzione delle materie plastiche ha semplificato notevolmente molte attività umane, dall’altro l’aumento della produzione di oggetti di plastica e il loro smaltimento in molti casi non corretto hanno portato a un enorme problema di inquinamento ambientale. Prima di esplorare in dettaglio l’impatto dell’inquinamento da plastica sulla salute del pianeta e dell’uomo è importante conoscere alcune definizioni.

Come accennato in precedenza non è del tutto corretto parlare in generale di “plastica” poiché esistono numerose “variazioni sul tema” e le materie plastiche possono avere caratteristiche anche molto diverse tra di loro. Basta pensare alla plastica delle bottiglie e a quella che avvolge gli alimenti o, ancora, al materiale di cui sono fatti i caschi per le biciclette. Tutte plastiche anche se con funzioni e aspetti differenti.

Tra le più comuni troviamo:

  • polietilene tereftalato (PET), usato per le bottiglie di plastica
  • polietilene ad alta densità (HDPE), per le bottiglie di shampoo o i sacchetti da mettere in freezer
  • polipropilene (PP), usato per i tappi delle bottiglie o per le mascherine monouso
  • polistirene (PS) per posate e piatti usa e getta

Altrettanto importante, quando si parla di inquinamento da plastica è sapere che anche le dimensioni dei residui che finiscono nell’ambiente possono fare la differenza in termini di impatto sulla salute di uomo e pianeta. Oltre ai classici oggetti di plastica ben visibili a occhio nudo, si parla anche di:

  • microplastiche se le loro dimensioni sono comprese tra 0,001 e 5 millimetri
  • nanoplastiche se le dimensioni sono ancora più piccole e comprese tra 0,001 e 0,1 micrometri (un micrometro è la millesima parte del millimetro).

Le microplastiche sono definite primarie quando vengono prodotte intenzionalmente in dimensioni ridotte per essere usate come tali per esempio in prodotti cosmetici o paste abrasive. Si parla di microplastiche secondarie se invece le particelle derivano dall’usura o dal deterioramento di oggetti di plastica più grandi.

 

LE DIMENSIONI DEL PROBLEMA

I dati riportati dagli esperti del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UN Environment Programme, UNEP) non lasciano spazio a dubbi: siamo diventati dipendenti da oggetti di plastica monouso, con gravi conseguenze a livello ambientale, sociale, economico e di salute. Qualche numero può aiutare a comprendere meglio la dimensione del problema.

  • Ogni minuto nel mondo vendono acquistate un milione di bottiglie di plastica.
  • Ogni anno nel mondo vengono utilizzate fino a 5 miliardi di borse di plastica.
  • La metà di tutta la plastica prodotta è destinata a prodotti monouso.
  • Ogni anno nel mondo vengono prodotte circa 400 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica.
  • Meno del 10% dei rifiuti di plastica finora generati è stato riciclato.
 

DOVE SI TROVA

Dove si trova la plastica che inquina l’ambiente? La risposta più ovvia a tale domanda è “ovunque”. Gli oceani in particolare sono diventati vere e proprie discariche di materie plastiche: si stima che attualmente negli oceani ve ne siano tra 75 e 199 milioni di tonnellate. Numeri destinati inevitabilmente ad aumentare se non si modificano le strategie di produzione, utilizzo e smaltimento della plastica, tanto che nel 2050 in mare potrebbero esserci più plastiche che pesci (in peso).

Le famose “isole di plastica” sono il triste emblema dell’inquinamento degli oceani. Si tratta di aree molto vaste (la Great Pacific Garbage Patch, tra California e Hawaii è grande come la penisola Iberica) costituite da rifiuti di plastica galleggianti, che si sono accumulati in punti specifici seguendo i movimenti delle correnti oceaniche. Ce ne sono almeno sei, e sono ormai parte integrante dell’ambiente, tanto da avere dato il nome a un nuovo habitat marino, la "plastisfera", descritto qualche anno fa in un articolo sulla rivista Frontiers in Ecology and the Environment.

Basta però guardarsi attorno per capire che l’inquinamento da plastica non riguarda solo gli oceani. Plastiche e microplastiche sono presenti in tutti gli ambienti terrestri, nell’aria che respiriamo, in alcuni cosmetici, in vestiti e tessuti e anche nei cibi che portiamo in tavola.

In un articolo su EFSA Journal, l’Autorita? Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha riportato le concentrazioni di microplastiche in alcuni alimenti di origine marina:

  • da 1 a 7 particelle per pesce nei pesci marini
  • 0,75 particelle per grammo nei gamberi
  • tra 0,2 e 4 particelle per grammo nei bivalvi (come le cozze).

Nello stesso lavoro si mette in luce anche la presenza di microplastiche in altri alimenti di uso comune come il sale, la birra, il miele e l’acqua (sia in bottiglia che del rubinetto).

 

GLI EFFETTI SULLA SALUTE

In uno studio del 2021 è stato calcolato che in media ingeriamo da 0,1 a 5?grammi di microplastica ogni settimana (5 grammi è l’equivalente in peso di una carta di credito!) a seconda della regione in cui si vive, dello stile di vita e della dieta. Questi dati e la sempre maggiore esposizione dell’uomo alle micro- e nanoplastiche hanno da qualche anno attratto l’attenzione di medici e ricercatori che sempre più spesso si chiedono quali possano essere gli effetti di tale esposizione sulla salute.

Attualmente restano ancora molti punti da chiarire, ma numerosi studi hanno valutato alcuni dei potenziali rischi legati all’inquinamento da plastica. Resta il fatto che plastiche di ogni dimensione possono causare danni tipo fisico, chimico e microbiologico alla salute. Innanzitutto, le microparticelle di materiale plastico possono entrare nell’organismo e accumularsi in diversi organi creando danni fisici agli stessi e compromettendone potenzialmente il buon funzionamento. Più piccoli sono i frammenti, maggiore è la possibilità che questi riescano a superare alcune delle barriere fisiche dell’organismo, come per esempio quella intestinale o la barriera ematoencefalica, che regola il passaggio di sostanze da e verso il cervello. È inoltre importante ricordare che spesso le plastiche (e le microplastiche) contengono una serie di additivi chimici che possono avere un impatto negativo sulla salute: ftalati, bisfenolo A, idrocarburi policiclici aromatici e metalli sono solo alcuni dei contaminanti organici e inorganici che si possono riscontrare nelle microplastiche. Alcuni di questi fanno parte anche dei cosiddetti “interferenti endocrini”, sostanze che possono danneggiare il sistema ormonale, con possibili conseguenze a livello del metabolismo e della salute riproduttiva.

Uno studio del 2021 spiega che, su scala cellulare e molecolare, l’ingestione di microplastiche può influenzare la composizione del microbiota intestinale portando a condizioni che ricordano molto da vicino quelle osservate nel diabete, nell’obesità e in altre patologie croniche. Nelle loro dimensioni “nano”, i frammenti plastici sono stati associati a eventi tipici della carcinogenesi (lo sviluppo dei tumori) come alterazioni del genoma e dell’espressione dei geni, stress ossidativo, frammentazione del DNA, infiammazione e tossicità cellulare. Infine, ma non certo meno importante, assieme alle microplastiche non si può escludere l’ingestione di microrganismi potenzialmente pericolosi presenti sulla superficie stessa dei frammenti e che potrebbero causare un danno microbiologico importante.

 

COME DIFENDERSI

La comunità internazionale si sta muovendo per limitare i danni causati dall’inquinamento da plastica. Tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, molti includono azioni che riguardano la plastica – dalla riduzione dei rifiuti plastici, all’uso più sostenibile, ecc. Il Parlamento Europeo è attivamente impegnato per cercare di contrastare l’inquinamento da microplastiche e lo stesso vale per molte nazioni che hanno messo in campo leggi ad hoc. Ciascuno di noi può però contribuire in modo concreto all’obiettivo di ridurre l’inquinamento da plastica.

Ecco alcuni consigli pratici:

  • Spesa: preferire prodotti sfusi o in barattoli di vetro e portare da casa borse riutilizzabili
  • Saponi e detersivi: anzichè su nuove confezioni optare per le ricariche che permettono di risparmiare notevoli quantità di plastica
  • In cucina: scegliere contenitori di vetro e utensili in materiali diversi dalla plastica
  • Fuori casa: utilizzare la borraccia invece della classica bottiglia di plastica, e stoviglie in materiale biodegradabile.

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