Eutanasia, la «cura» suprema dell’uomo che soffre
Difendo il diritto di morire e respingo il preteso valore morale della sofferenza. Ma servono regole a garanzia di tutti, anche di chi non la pensa così
La vita è un diritto, non è un dovere. Partendo dal concetto che non esiste una “indisponibilità” assoluta della vita, il Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi, presieduto da Cinzia Caporale, ha presentato una mozione sui profili etici dell’eutanasia, invitando tutti a riaprire il dibattito. Non possiamo continuare a ignorare la tragedia silenziosa di quelle che sono state chiamate “le cattive morti evitabili”, e non possiamo continuare a negare all’individuo il diritto di decidere come morire. Le tecnologie biomediche, segno del progresso in favore dell’uomo, non possono e non devono trasformarsi in qualcosa che invece va contro l’uomo e la sua libertà, posticipando, dilatando, sospendendo e a volte perfino invertendo il naturale processo del morire.
Se un malato è inguaribile, afflitto da sofferenze non controllabili, ed è avviato irreversibilmente alla morte, la sua richiesta di eutanasia non può essere ignorata, e deve essere accolta. E’ anche un dovere civile, proprio di una democrazia, fare uscire l’eutanasia da quella che si può definire la sua zona d’ombra, vale a dire le pratiche con finalità compassionevoli che in realtà negli ospedali realizzano l’eutanasia, ma che restano clandestine e che espongono chi assiste i malati terminali a rischi di tipo giuridico. Si creano anche inaccettabili discriminazioni: per un medico che ascolta la richiesta e ha il coraggio di assumersi il rischio, quanti medici, invece, oppongono un legittimo rifiuto?
Dobbiamo riaprire il dibattito con grande pacatezza, con l’intento di dare una risposta chiara ai dubbi, alle preoccupazioni, ai pregiudizi. In una società che secondo i sondaggi è sempre più favorevole all’eutanasia, ci sono giustamente anche i pareri contrari. Se si esce dalla discussione puramente filosofica sulla “sacralità” della vita, s’incontrano però i timori di chi vede nella legalizzazione dell’eutanasia una possibile deriva verso un’ideologia tecnocratica che va a sfavore dei più deboli, e di quelli che non sono più utili a un’organizzazione sociale dominata dalle leggi dell’economia. Non è proprio l’ideologia nazista, ma ci assomiglia.
La mozione del Comitato Etico ha quindi dato un posto centrale alle regole che devono guidare verso una legge, e che devono costituire una garanzia per tutti: per chi è favorevole e per chi è contrario.
A parere del Comitato etico, i criteri, le condizioni e i presupposti irrinunciabili per legalizzare l’eutanasia sono i seguenti:
- che il paziente sia capace di intendere e di volere e abbia espresso la propria esplicita, univoca, autonoma e reiterata volontà di essere sottoposto ad eutanasia;
- che la valutazione di tale capacità sia operata da un medico indipendente dall’équipe che porterà a termine la procedura;
- che la volontà del paziente sia il frutto di una scelta basata su informazioni sanitarie complete, chiare e comprensibili per quella specifica persona;
- che il paziente sia stato informato sulle possibili strategie alternative e in particolare su quelle palliative, nonché sulla sedazione profonda, temporanea o intermittente;
- che la volontà di accedere all’eutanasia sia revocabile in ogni momento e con modalità molto semplici;
- che il paziente sia in fase terminale e affetto da una patologia connotata da uno stato di sofferenza fisica insopportabile, incurabile e con sintomi refrattari alle pratiche contro il dolore;
- che ogni procedura clinica venga condotta secondo le migliori pratiche definite a livello internazionale dalle società scientifiche e che preveda il coinvolgimento di un’équipe medica in grado di valutare lo stato emotivo del paziente;
- che ogni pratica di eutanasia preveda la revisione del caso ex post da parte di un organo di controllo indipendente.
Come si vede, sono regole stringenti. Le stesse che nei Paesi dove l’eutanasia è legale presiedono all’accertamento della volontarietà della richiesta di eutanasia, e disegnano le garanzie perché tutto si svolga nella più assoluta chiarezza. In Olanda, in Belgio e negli altri Paesi non si è verificata alcuna “epidemia”, non c’è stata alcuna deriva, come qualcuno aveva profetizzato. La prova è statistica; il numero di morti per eutanasia legale assomma a non oltre l’1-2% delle morti totali. Inoltre, nella larghissima parte dei casi, l’accorciamento della vita del paziente non supera una settimana o addirittura qualche ora rispetto al naturale decorso della fine della vita. Non incombe alcuna ideologia atroce finalizzata ad eliminare gli anziani, i disabili, i più poveri e meno istruiti, e invece i dati dimostrano che a fare maggiore ricorso alla pratica legalizzata sono uomini di età media che non versano in alcuna delle condizioni descritte.
Io ho sempre difeso il diritto di morire, e ho sempre respinto sia il preteso valore morale della sofferenza, sia il concetto che l’uomo non può liberamente disporre della sua vita. Su questo argomento doloroso, su cui normalmente la gente non vuole indugiarsi a pensare, ho anche scritto un libro che mi ha procurato la pena di molti ricordi. Ma ho molto chiaro un pensiero: l’eutanasia non è dare la morte, ma salvaguardare la vita, una vita che sta per spegnersi ma ancora chiede il raggio di luce dell’amore, e la mano calda della solidarietà umana. L’eutanasia è la “cura” suprema reclamata dall’uomo che soffre.
Umberto Veronesi