I disturbi sono associati quasi in un terzo dei casi, ma alcuni farmaci per l'ipertensione abbassano anche il rischio di ammalarsi di depressione
Ipertensione, disturbi cardiovascolari e cerebrovascolari sono spesso associati a un aumentato rischio di depressione. Ma l’uso dei farmaci per abbassare la pressione sanguigna può concorrere a ridurre (anche) uno stato depressivo. A documentarlo è uno studio condotto dall'Università di Copenaghen, in cui sono stati messi alla prova 41 degli antipertensivi più utilizzati. L'effetto su entrambi i fronti è stato rilevato per nove di queste molecole, tra quelle maggiormente in uso (amlodipina, atenololo, bisoprololo, carvedilolo, enalapril, propranololo, ramipril, verapamil più le combinazioni col verapramil). Lo stesso effetto non è invece stato garantito dai diuretici. Ma andiamo con ordine.
IPERTENSIONE: 1 PAZIENTE SU 3 ANCHE DEPRESSO
Diversi studi hanno dimostrato che quasi un terzo delle persone affette da ipertensione (o alle prese con malattie cardiovascolari che potrebbero essere da essa derivate) convive anche con la depressione. La concomitanza delle due condizioni concorre a peggiorare la qualità di vita di questi pazienti, che portano con sè un rischio di mortalità più elevato. Partendo da questi dati, il gruppo di ricerca guidato dallo psichiatra Lars Vedel Kessing ha scelto i partecipanti allo studio attingendo ai registri nazionali sulla salute danesi e li hanno seguiti dal 2005 al 2015: considerando sul lungo periodo la variabilità o meno dello stato depressivo in concomitanza con l’uso di 41 farmaci antipertensivi (agenti dell’angiotensina, calcioantagonisti, betabloccanti e diuretici). Del primo gruppo hanno mostrato efficacia antidepressiva l’enapril e il ramipril, dei betabloccanti quattro: propranololo, atenololo, bisoprololo, carvediolo. Infine, dei calcioantagonisti, tre: amlodipina, verapamile e combinazione di verapamil.
Come ridurre gli antidepressivi (senza conseguenze)
UNA GUIDA PER SCEGLIERE L'ANTIPERTENSIVO
Questi risultati, hanno scritto i ricercatori di Copenhagen, «dovrebbero essere tenuti in considerazione quando si devono prescrivere antipertensivi a pazienti a rischio di sviluppare la depressione, inclusi quelli che già ne hanno sofferto, o hanno sofferto d’ansia. O quelli con una storia di depressione in famiglia». Secondo Andrea Fagiolini, direttore della clinica psichiatrica e ordinario di psichiatria all'Università di Siena, lo studio offre una buona notizia. Ma serviranno ulteriori conferme. Una diminuita incidenza di depressione, rispetto a individui che non usano antipertensivi, potrebbe essere anche dovuta al fatto che i pazienti che prendono antipertensivi sono persone che si prendono cura di sé, che vanno dal medico di base e che più facilmente rispettano gli schemi terapeutici».
PER QUANTO TEMPO BISOGNA
ASSUMERE GLI ANTIDEPRESSIVI?
ATTENTI ALLE FALSE ASSOCIAZIONI DI MALATTIE
Riprende il docente: «Una persona depressa, potrebbe invece non avere voglia di reagire e avere maggiori possibilità di non assumere gli antipertensivi. La situazione non è nemmeno chiara per gli studi che, prima di questo, avevano trovato risultati opposti, ovvero un’associazione fra depressione e ipertensione o uso di antipertensivi. In questo caso, infatti, l’associazione potrebbe avere un’origine indiretta». Continua Fagiolini: «Per esempio, una persona ipertesa in terapia ha maggiori probabilità di essere obesa. E una persona obesa più di frequente rischia la depressione. La reale relazione, in questo caso, sarebbe fra depressione e obesità e non fra depressione e ipertensione o uso di antipertensivi. Certamente i rapporti fra le due malattie, e tra i rispettivi trattamenti, meritano di essere studiati in maggiore dettaglio e attraverso un maggior numero di studi, possibilmente controllati e prospettici».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.