Il caso di Vimercate (paziente morta per una trasfusione di sangue) rimane un'eccezione. I maggiori rischi in corsia legati alle complicanze chirurgiche e agli errori nelle diagnosi e nelle terapie
L'ultimo caso di malasanità si è verificato a Vimercate, provincia di Monza-Brianza, dove una donna di 84 anni è morta a causa di una trasfusione sbagliata. Il decesso, come ammesso dai vertici dell'ospedale e di Regione Lombardia, «è avvenuto in conseguenza di un errore umano». Anche se le statistiche sono piuttosto lacunose, si tratta di uno degli oltre trentamila incidenti di questo tipo che si registrano ogni anno nel nostro Paese. In valore assoluto il dato può apparire alto, ma occorre tenere presente che si sta parlando all'incirca del cinque per cento dei ricoveri che si registrano in Italia. Un dato inferiore rispetto a quello segnalato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, che cita una quota pari al nove per cento rispetto al totale degli accessi in ospedale.
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GLI ERRORI PIU' FREQUENTI
La soglia di sicurezza negli ospedali italiani, al netto dei singoli episodi, è dunque abbastanza alta. Detto ciò, la situazione è comunque perfettibile. «Consideriamo evitabile il 56 per cento di questi accadimenti - afferma Riccardo Tartaglia, direttore del centro gestione rischio clinico e sicurezza del paziente dell'azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze -. Spesso gli incidenti sono dovuti alla cattiva comunicazione, allo stress e alla formazione carente». Quanto alle procedure più a rischio, in cima alla lista ci sono quelle chirurgiche. Tra gli interventi gravati dalla quota più rilevante di errori evitabili, ci sono quelli per il trattamento dell'aneurisma dell'aorta addominale, i bypass degli arti inferiori, le resezioni del colon, le cistectomie (asportazioni della vescica), le isterectomie (dell'utero) e le colecistectomie (della cistifellea). A seguire gli errori nella formulazione delle diagnosi e nella messa a punto delle terapie, che secondo uno studio italiano sugli eventi avversi pubblicato nel 2014 sulla rivista Bmc Health Services Research risultano in realtà più frequenti rispetto a quelli rilevabili in sala operatoria e nelle terapie intensive.
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EMERGENZA INFEZIONI «RESISTENTI»
Per rimanere agganciati alla cronaca, «incidenti come quello avvenuto a Vimercate si verificano una volta ogni 2.5 milioni di sacche trasfuse», è quanto ha ribadito nelle scorse ore Giancarlo Liumbruno, presidente del Centro Nazionale Sangue. Considerando che ogni anno nel nostro Paese oltre 630mila pazienti ricevono una trasfusione, episodi di questo tipo si verificano all'incirca una volta ogni quattro o cinque anni. Numeri che permettono di definire l'accaduto come un'eccezione, piuttosto che la regola. E il rischio infettivo è pressoché pari a zero: da oltre dieci anni in Italia non sono segnalate infezioni post-trasfusionali da Hiv, virus dell’epatite B e dell’epatite C. La priorità, quando si parla di virus e batteri, è invece rappresentata da quelli resistenti con cui si può entrare in contatto negli ospedali. All'origine dell'emergenza, ci sono diversi fattori. «Il ricorso a procedure sempre più complesse e invasive, l'aumento dell'età media dei pazienti e delle loro problematiche di salute, la crescente diffusione di batteri in grado di eludere l'azione degli antibiotici», li elenca Nicola Petrosillo, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma. Nel nostro Paese, secondo un lavoro pubblicato su Eurosurveillance, 8 pazienti su 100 entrano in ospedale e contraggono un'infezione: prevalentemente respiratoria, chirurgica o urinaria. Fino a quelle più gravi, che si diffondono a tutto l'organismo e determinano la sepsi.
7 ITALIANI SU 10 AL SICURO IN OSPEDALE
L'offerta degli ospedali italiani ha raggiunto uno standard qualitativamente elevato, se si considera che su scala globale «4 pazienti su 10 vengono danneggiati durante le cure primarie e ambulatoriali»: questo il dato diffuso dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nella prima giornata mondiale dedicata alla loro sicurezza. Tornando allo scenario nazionale, quello che può essere affermato sulla base dei numeri corrisponde al percepito dei cittadini. Sette italiani su dieci, infatti, si considerano soddisfatti delle procedure di sicurezza all'interno degli ospedali. Il dato emerge da un'indagine condotta da Doxapharma coinvolgendo 750 persone selezionate lungo l'intera Penisola. I cittadini si sentono generalmente al riparo dagli eventi avversi quando effettuano prelievi di sangue ed esami diagnostici. Meno invece al cospetto delle trasfusioni o prima di sottoporsi a un intervento chirurgico.
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ITALIA A DUE VELOCITA'
Igiene (personale e dell'ambiente), attenzione, competenza e professionalità (da parte degli specialisti): questi i desiderata degli italiani, il cui indice di gradimento va a scalare di pari passo con la qualità dell'assistenza sanitaria lungo lo Stivale. «Le maggiori preoccupazioni derivano dai tagli al settore sanitario e dalla mancanza di personale, eppure l'Italia è ancora un Paese con un alto tasso di medici per abitanti e con troppi ospedali per il numero di specialisti disponibili - conclude Tartaglia, che presiede l'Italian Network for Safety in Healthcare -. Per migliorare l'assistenza sanitaria, occorre che tutte le strutture rispettino i piani diagnostico-terapeutici assistenziali. Negli ospedali con i maggiori volumi di attività e con i migliori risultati ottenuti il rischio di imbattersi in un errore medico è sensibilmente più basso».
Fonti
Surgical adverse events: a systematic review, The American Journal of Surgery
Medical error—the third leading cause of death in the US, British Medical Journal
Patient safety in primary and quality of healthcare, Commissione Europea
What is preventable harm in healthcare? A systematic review of definitions, Bmc
Italy recognises patient safety as a fundamental right, British Medical Journal
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).