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Ginecologia
Caterina Fazion
pubblicato il 06-12-2023

Come parlare di infertilità?



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Sui temi della fertilità ci si esprime spesso senza pensare, con un linguaggio poco empatico che rischia di ferire. Per creare una narrazione rispettosa occorre comprendere a pieno le complesse sfide affrontate da chi vive l’infertilità

Come parlare di infertilità?

Ci sono frasi, pronunciate con leggerezza, che possono ferire le persone portatrici del problema dell’infertilità, rendendo ancora più complicato un percorso già di per sé estremamente doloroso. Per cambiare la narrazione su questi temi occorre promuovere un linguaggio più empatico, inclusivo e rispettoso, che possa far comprendere a pieno le complesse sfide affrontate da chi vive l’infertilità. Per capire come fare prendiamo spunto dal manifesto “Il linguaggio della fertilità”, creato da IVI, clinica specializzata nella medicina della riproduzione, in collaborazione con l'associazione Strada per un Sogno Onlus, dedicata al tema dell’infertilitá e a tutti i percorsi possibili per diventare genitori, e al movimento Oneofmany, che intende normalizzare il tema dell’infertilità.

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QUANTO È DIFFUSA L’INFERTILITÀ?

Nel mondo ci sono circa 50 milioni di coppie definite infertili, ovvero che non sono riuscite ad avere una gravidanza dopo un anno di tentativi. Dal 2009 l’infertilità, che in Italia riguarda il 15% delle coppie, circa una su sette, è ufficialmente riconosciuta come una malattia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ma nonostante ciò «oggi l’infertilità viene ancora descritta attraverso un linguaggio poco empatico, inappropriato, che a volte può persino risultare aggressivo», spiega la dottoressa Daniela Galliano, direttrice di IVI Roma. «Di conseguenza, coloro che faticano ad avere un figlio e che magari decidono di usufruire delle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) possono sentirsi giudicati, colpevolizzati o incompresi nel loro percorso verso la genitorialità».

 

IL TABÙ DELL’INFERTILITÀ

Nonostante le richieste di ricorrere alla PMA siano comunque in aumento, meno della metà delle coppie affette da infertilità ricorre a una visita specialistica di medicina riproduttiva.

«C’è un’ampissima fetta della popolazione che non ricorre all’aiuto delle tecniche di PMA per svariati motivi: perché non ne è a conoscenza, perché quando capisce di avere un problema di infertilità è ormai molto tardi, perché si vergogna di ammettere di non riuscire ad avere figli in maniera naturale. Le persone, donne soprattutto, quando non riescono ad avere figli si sentono in colpa e giudicate, e a risentirne non è solo il benessere individuale, ma anche quello della coppia. Nella nostra società, purtroppo, si parla poco di infertilità e delle tecniche che possono aiutare a superarla. Nel nostro paese spesso tali tecniche sono temute perché poco conosciute e vittime di pregiudizi, a differenza di altri paesi limitrofi come la Spagna, dove invece sono normalizzate. Spesso chi ricorre alla medicina della riproduzione preferisce non dirlo, e questo non fa altro che alimentare il circolo di disinformazione e giudizio. C’è bisogno di una rivoluzione nell’ambito della salute. Il fatto di non essere informati, infatti, fa sì che le persone non compiano scelte consapevoli e ritardino l’accesso alle cure, cosa che peggiora il tasso di successo. Bisognerebbe normalizzare l’infertilità e di conseguenza l’accesso alla PMA».

Una buona notizia, però, sembra esserci: con il primo gennaio 2024 la procreazione medicalmente assistita (Pma) entrerà nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), ovvero quelle prestazioni e servizi che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con il fine di garantire uniformità nell’accesso al diritto su tutto il territorio nazionale.

 

L’OBIETTIVO DEL MANIFESTO

Proprio per ridefinire il modo in cui l’infertilità viene comunicata, rappresentata e raccontata, nasce il manifesto per cambiare il “Linguaggio della Fertilità”. Gli obiettivi sono molteplici:

  • cambiare il linguaggio utilizzato per diagnosticare e descrivere l’infertilità, da parte dei professionisti sanitari, dei media e della società;
  • sensibilizzare sul potere delle parole, diffondendo consapevolezza riguardo le espressioni che possono ferire chi affronta l’infertilità e quelle che invece esprimono vicinanza ed empatia;
  • dare voce alle testimonianze di coloro che hanno vissuto in prima persona gli effetti di un linguaggio severo e poco sensibile in relazione alla fertilità.

 

 

COME MIGLIORARE IL DIALOGO

Il manifesto è pensato per chiunque si trovi ad affrontare il tema della fertilità, degli aborti e della PMA: parenti, amici, professionisti della salute e della comunicazione, ma non solo. A cambiare, infatti, non dovrebbe essere solo il linguaggio della società, ma anche il linguaggio che le coppie usano nei propri confronti, spesso duro e colpevolizzante. Anche il dialogo con sé stessi, infatti, può migliorare. Come suggerisce il manifesto, si potrebbe iniziare a parlare di difficoltà di concepimento invece che di infertilità, di mancato impianto e non di impianto fallito, di embrione che non è cresciuto come previsto invece di embrione di scarsa qualità.

«Abbiamo voluto realizzare questo manifesto per provare a cambiare il linguaggio della fertilità. I pazienti stessi, i medici, i giornalisti, infatti, quando si parla di maternità e genitorialità, usano spesso un linguaggio privo di sensibilità ed empatia, utilizzando parole colpevolizzanti e intrise di giudizio. Basta parlare di maternità con leggerezza perché le parole inappropriate possono davvero ferire», ricorda Daniela Galliano. «Per rompere il tabù della fertilità basterebbe parlarne, con rispetto ed empatia. “Sospendiamo il giudizio e il senso di colpa”, è questo ciò che dico sempre alle coppie che si rivolgono al nostro centro».

 

LE COSE DA NON DIRE

Chiunque abbia affrontato le sfide dell’infertilità sa quanto sia doloroso ricevere parole inappropriate e commenti inopportuni. Nel manifesto viene data voce a coloro che hanno sperimentato in prima persona gli effetti di un linguaggio duro e poco attento. Ecco alcuni esempi che possono aiutarci a capire quanto sia importante scegliere con cura le parole da non dire.

“L’infermiera mi disse: ma tu non puoi semplicemente impegnarti per concepire un bambino normalmente, come fanno tutte le coppie del mondo?”

“Sei troppo stressata, smetti di pensarci e rimarrai incinta”

“PMA e adozione sono contro natura”

“Hai un bel marito, una casa, un lavoro, potresti accontentarti”

“Ah, fate PMA? E di chi è colpa, tua o sua?”

 

QUANTO SIAMO LONTANI?

«Per avere un linguaggio più empatico e meno stigmatizzante nei confronti della fertilità ci vorranno anni», riflette la dottoressa Galliano. «Non mi aspetto che le cose cambino subito, ma spero che la generazione successiva possa cogliere i risultati di quello che stiamo portando avanti, affrontando con una diversa sensibilità quello che oggi è ancora un tabù presente nella nostra società. Io stessa ho avuto una bambina con la PMA e mi piace ribadire che non è una colpa aver chiesto aiuto alla medicina. L’infertilità, infatti, è una patologia: non si sta andando contro natura per il semplice fatto che si cerca una soluzione, come per qualunque altro problema di salute».

 

LA STORIA DI MARTINA

Per realizzare il manifesto “Il linguaggio della fertilità” sono state fondamentali le testimonianze di coloro che hanno vissuto in prima persona gli effetti di un linguaggio severo e poco sensibile in relazione alla fertilità. Martina è una di loro. Durante il suo lungo percorso per realizzare il sogno di diventare madre, infatti, ha dovuto scontarsi con parole superficiali, alle volte dure, quasi sempre dolorose, pronunciate da amici, parenti e professionisti poco empatici.

Leggi la storia di Martina e del suo bambino arcobaleno

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Caterina Fazion
Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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