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«Braccialetti rossi»: quando bere snatura i contesti introducendo disvalori

Come è possibile che sulla Rai passi il messaggio che si possa bere (pazienti e operatori sanitari) all'interno di un ospedale?

«Braccialetti rossi»: quando bere snatura i contesti introducendo disvalori

Di solito comprendo e giustifico tutto, o quasi: esigenze di produzione, trame e personaggi. Ma non è condivisibile vedere in una fiction come "Braccialetti Rossi" minori ammalati di cancro intenti a consumare alcolici, in presenza di personale sanitario e in ospedale. Riporto testualmente la dichiarazione di Maria Teresa Salerno, sostenitrice della prevenzione alcolcorrelata: «Niente più mi stupisce e quella che facciamo mi sembra una battaglia impari, tanto che alcune volte mi chiedo se valga la pena farla».

Mi riferisco ai persuasori occulti. Mi spiego. La domenica sera vedo «Braccialetti rossi», una fiction che seguono milioni di italiani e che è stata girata in una zona incantevole della Puglia tra collina e mare: a Fasano, in Valle d'Itria. Rispetto al passato, questa volta ci sono state scene in cui si bevevano bevande alcoliche per festeggiare - cosa impensabile - l’asportazione di un seno a una ragazza colpita da tumore. Nella seconda puntata una festa in ospedale tra ricoverati, in buona parte minorenni, e personale sanitario per celebrare il diciottesimo compleanno del protagonista: già operato di asportazione della gamba per osteosarcoma e con recidiva metastatica cerebrale. Quali sono i punti dello scandalo? La presenza di alcol in ospedale, l'assunzione da parte del personale sanitario in servizio (vietata dalle norme su alcol e lavoro), il consumo associato ai minori con adulti consenzienti. Per non parlare dell'assunzione da parte di pazienti ammalati di tumore di una bevanda che favorisce l’insorgenza del cancro.

Tutto questo è avvenuto su Rai 1. Cosa si può fare per denunciare questa indecenza? Si grida allo scandalo se nelle fiction si guidi senza cintura, con il cellulare all'orecchio e si sorvola sui minori? Inaccettabile. Sdrammatizzando, un bel "tapiro d'oro" dovrebbe essere consegnato alla produzione e a chi è responsabile in Rai di una superficialità che mortifica il nobile ruolo della vigilanza. Condivido ogni parola del commento del Presidente dell'Associazione Italiana Club Alcologici Territoriali, Aniello Baselice: «La voglia di vivere, il coraggio di lottare, la forza della speranza, il calore dell’amicizia. Braccialetti Rossi è una grande occasione per la tv di Stato di proporre un forte messaggio educativo che promuova il rispetto della dignità della sofferenza e della speranza di vivere. Ma non è stato così». La fiction è un’opportunità per consolidare valori importanti nella lotta a una malattia attraverso un ciak. C’è da chiedersi, a questo punto, se la produzione, gli sceneggiatori, le commissioni varie di vigilanza, il regista siano stati consapevoli e si siano posti il problema del danno che si può arrecare ai giovani proponendo un comportamento che, se non le norme, il semplice buon senso suggerisce come atto di responsabilità degli adulti nel diritto di tutela alla salute e alla sicurezza dei giovani per contrastare la prima causa di morte tra i giovani in Italia. È un problema degli adulti, in questo caso, non solo quello della mancata vocazione alla prevenzione o del mancato rispetto della tutela dei minori bensì quello più rilevante del mancato rispetto della legalità che nessuno, pur preposto, intercetta e contrasta.

Anni fa un monitoraggio attuato dall'Istituto Superiore di Sanità dimostrò che nelle fiction italiane televisive ogni 15 minuti c'era qualcuno che portava alla bocca un bicchiere di alcolico. Erano adulti, mentre quindici anni dopo scene simili che coinvolgono minori intenti al consumo di alcol sono diffuse, tollerate, normalizzate. Spesso le produzioni ricorrono al product placement, forma di sponsorizzazione non distinguibile in "chiaro" come pubblicità, se non attraverso i titoli di coda (lì dove menzionati, spesso semplicemente occulti) e quindi sfuggenti sia ai controlli sia alle sanzioni (blande). Chi giudica l'ingannevolezza o il messaggio imposto dalle scene che passano sugli schermi e che valorizzano impropriamente l'uso di alcolici da parte di minori? Come distinguere questa modalità di sponsorizzazione commerciale dalla pubblicità esplicita? Che strumenti ha lo spettatore per sottrarsi a pratiche commerciali che passano incontrollate senza poter applicare una sua legittima prerogativa di scelta per evitare le pressioni esercitate dallo storyboard di una fiction? Ancora, cambiando contesto, chi controlla i contenuti delle programmazioni di prodotti che non sono esclusi alla visione di minori ? Ho usato esplicitamente la definizione "minori intenti al consumo di alcol tenendo conto che la Legge 125/2001, vieta la pubblicità di bevande alcoliche e superalcoliche «all'interno di programmi rivolti ai minori e nei quindici minuti precedenti e successivi alla trasmissione degli stessi». Ma non solo: vige anche il divieto di «attribuire efficacia o indicazioni terapeutiche che non siano riconosciute dal Ministero della sanità» e «rappresentare minori intenti al consumo di alcol o rappresenti in modo positivo l'assunzione di bevande alcoliche o superalcoliche». La regolamentazione si spinge anche ad altri contesti. «È vietata la pubblicità diretta o indiretta delle bevande alcoliche e superalcoliche nei luoghi frequentati prevalentemente dai minori di 18 anni di età». È inoltre vietata in qualsiasi forma la pubblicità di bevande superalcoliche: «sulla stampa giornaliera e periodica destinata ai minori e nelle sale cinematografiche in occasione della proiezione di film destinati prevalentemente alla visione dei minori».

È vietata la vendita e somministrazione di bevande alcoliche ai minorenni in riferimento ai luoghi pubblici, e spesso il bere nella fiction avviene in discoteca. E gli ospedali cosa sono? Al Careggi di Firenze è vietata la vendita, la somministrazione e il consumo di alcol in tutti i contesti: dai bar ai reparti, dalle sedute ai festeggiamenti di laurea, dai convegni alle riunioni di lavoro. Gli ospedali sono luoghi in cui si produce salute e si combattono fattori di rischio e malattie. Lo stesso discorso si applica per il fumo. Le norme di tutela dell'incolumità ai terzi nei luoghi di lavoro vietano il consumo di alcol al personale sanitario nel contesto specifico: è quindi discutibile che una fiction inciti alla violazione di una norma. Si discute e si fanno trasmissioni e confronti sull'effetto diseducativo di scene come quelle che ritraggono persone alla guida in moto senza casco o che fumano nelle scuole. Perché dovrebbe essere diverso per l'alcol in ospedale? Nessuna azienda ospedaliera ospitante le riprese di "Braccialetti rossi" si sarebbe prestata a una dinamica così impropria per il ruolo diretto e indiretto di tutela della salute. E infatti nessuna azienda sanitaria ha ospitato riprese contrarie alla deontologia e all’etica dei luoghi di cura del Servizio Sanitario Nazionale che, a mio parere, risulta danneggiato nell'immagine. Il set principale di Braccialetti Rossi è il Ciasu di Fasano (Centro Internazionale Alti Studi Universitari) all’interno del quale è stato ricostruito l’ospedale per la scenografia di Sabrina Balestra.

Come pugliese sono felicissimo che sia la mia Regione a ospitare una fiction di successo. Ma sono altrettanto convinto che i brindisi in ospedale stonIno con la bellezza e la ricercatezza delle luci, con contesti che dovrebbero sempre garantire attenzione massima ai minori e al rispetto della dignità del malato e della sofferenza, evitando di far passare messaggi ingannevoli. In una puntata veder brindare una ragazza per l'asportazione del seno a causa di un cancro è grottesco e inaccettabile. I rischi per le donne che bevono alcol sono noti da tempo e ne abbiamo già parlato. Attività culturali e di comunicazione rese possibili in omaggio a una logica commerciale di convenienza, a scapito della tutela del diritto dei minori, andrebbero dunque evitate senza “se” e senza “ma”. In nessuna parte del mondo si autorizzerebbe una forma di rappresentazione del bere da parte di minori, se non per stigmatizzare la prima causa di malattia, disabilità e morte prematura tra i giovani sani (e non affetti già da cancro). Far passare il messaggio che bere da malati sia accettabile e che si possa farlo abilitati da personale sanitario consapevoli delle terapie e della patologia in atto e persino in ospedale non è accettabile. I minori hanno una dignità e non possono essere asserviti a logiche di produzione, richiedono rispetto e non possono essere manipolati in omaggio a logiche di mercato, dal mondo dello spettacolo, da quella che deve rimanere cultura e che non può qualificarsi come prodotto commerciale, privato della sua indispensabile e preziosa componente etica e di rispetto delle norme del vivere civile.

Ci sono tanti modi per diluire l'impatto di soluzioni commerciali spinte come quella in questione; chi ne è responsabile dovrebbe fare un passo avanti, ammettere la caduta di tono, attuare un ravvedimento operoso, scusarsi e in maniera proattiva adoperarsi per emendare ad un errore di percorso che offende e svalorizza l'espressione dell'ingegno. Come contrappasso si sarebbe potuto realizzare uno spot rimarcando che l'alcol contenuto nelle bevande alcoliche è un tossico, una sostanza psicoattiva, un cancerogeno accertato per l'uomo e che se si sceglie di bere lo si fa per il piacere di farlo. mai, invece, nell'errata convinzione che possa giovare alla salute. Non si può usare l'alcol come farmaco o come mezzo di prevenzione, figuriamoci in corso di una malattia così grave come il cancro. Rispetto è dovuto per la dignità del malato, per la professionalità del personale sanitario che non può essere reso complice di certi comportamenti inidonei al contesto di cura. Rispetto è dovuto per l'inesperienza nel giudizio da parte dei minori, ricordando che lucro e tutela non vanno d'accordo.

 



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