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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 14-05-2015

Dal cancro si guarisce più spesso, ma resta il "vuoto" dell'assistenza



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La fotografia emerge dal rapporto sulle condizioni del malato oncologico. Ancora tante le difficoltà per chi vuole tornare alla vita normale: la riabilitazione è a spese del paziente e l'accesso a un mutuo è spesso difficoltoso

Dal cancro si guarisce più spesso, ma resta il "vuoto" dell'assistenza

Sbaglia chi considera spacciato un malato di cancro. «Oggi un paziente su quattro può considerarsi guarito a tutti gli effetti», è il messaggio che emerge dal "Settimo rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici”, presentato stamane in Senato. La sintesi è chiara: «Dal tumore si può venire fuori, ma a chi sopravvive lo Stato deve garantire un’assistenza adeguata: a titolo gratuito».

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DAL TUMORE SI GUARISCE

Chi, sui giornali, lo definiva come un male incurabile, deve dunque cambiare registro lessicale. Dal cancro oggi si può anche guarire, con le dovute differenze tra le diverse forme, il grado di invasività e l’eventuale recidività. Lo dicono i numeri: se nel 2010 erano poco più di 2,5 milioni gli italiani vivi dopo una diagnosi, oggi sono poco più di tre, pari al 5% dell’intera popolazione. Dunque, in soli cinque anni, s’è registrato un aumento sensibile: +17%. Come si legge nel rapporto, «la riduzione della mortalità può essere imputata all’effetto di un calo del numero di persone che si ammalano, e quindi a interventi di prevenzione primaria e secondaria, o all’introduzione di più efficaci misure di diagnosi e terapia». Gli andamenti sono sensibilmente differenti a seconda dei tumori. Si passa da un incremento di oltre il 30% in cinque anni per i pazienti con neoplasie della tiroide (38%) e della prostata (35%), fino ad andamenti pressoché stabili (inferiori al 10%) per i tumori della vescica, le leucemie e tutti i tumori ginecologici femminili. Progressi da non sottovalutare, se si considera che entro dicembre saranno quasi 693mila le donne italiane ad avere avuto una diagnosi di tumore al seno: pari a quasi il 2,3% della popolazione femminile. Un aumento simile è previsto per il numero di italiani in vita dopo una diagnosi di tumore del colon-retto, stimati a oltre 427mila nel 2015. Nel complesso, al termine di quest’anno, «pazienti ed ex pazienti oncologici saranno il 4,9% dell’intera popolazione italiana», è il dato che emerge dal documento.

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LE MANCANZE DELLE ISTITUZIONI

È dunque logico che, aumentando la sopravvivenza, crescano anche le necessità di questa quota di connazionali. Ed è su questo punto che i nodi arrivano al pettine. Il Sistema Sanitario Nazionale (Ssn), infatti, non si occupa della fase successiva alla malattia: né nel breve (in fase acuta) né dopo la remissione totale dalla malattia. La riabilitazione non è inserita nei livelli essenziali di assistenza (Lea). «Perché non ci sono i fondi», è la risposta che giunge più di sovente dalle stanze della politica. A ciò occorre aggiungere le forti disparità che si registrano tra le Regioni nell’accesso ai farmaci (quaranta giorni in Umbria, 170 in Calabria), alla radioterapia, all’assistenza domiciliare, alla terapia del dolore e alle cure palliative: nonostante tutto ciò risulti invece garantito dalle casse del Ssn. Di conseguenza ai pazienti, o ex, è di fatto sbarrato il ritorno alla vita precedente la diagnosi di tumore. «Bisogna capire, una volta per tutte, che il cancro è una malattia diversa da tutte le altre e necessita di percorsi riabilitativi specifici e spesso personalizzati», afferma Elisabetta Iannelli, avvocato civilista e segretaria della Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo). Fino a oggi, di fatto, lo Stato Italiano è venuto meno al ruolo di assistenza nei confronti di questi pazienti. Secondo gli esperti che hanno redatto il dossier, «è necessario portare all’attenzione del Servizio Sanitario Nazionale anche la fascia di popolazione costituita dalle persone guarite dal cancro, del tutto trascurata. Occorre istituire un programma di sorveglianza clinica per la prevenzione terziaria, che racchiude la scoperta di possibili nuovi tumori e la comparsa di effetti collaterali tardivi a seguito di chemioterapie, radioterapie e uso di farmaci. Le conseguenze della malattia possono lasciare tracce psicologiche che condizionano le relazioni interpersonali e lo stato di benessere generale, con difficoltà nel reintegro sociale e lavorativo». Tra i diritti negati ai pazienti (o ex) oncologici, a riprova delle barriere esistenti, anche l’accesso a mutui, assicurazioni sanitarie e servizi finanziari.

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RETI ONCOLOGICHE: A CHE PUNTO SIAMO?

In questo discorso si inserisce l’istituzione delle reti oncologiche regionali, ufficializzate dalla Conferenza Stato-Regioni lo scorso 30 ottobre. Si tratta di un network che dovrebbe instaurarsi tra le diverse province per fare in modo che i casi più complessi, intercettati anche dai piccoli ospedali di provincia, giungano direttamente nei centri di riferimento. Qui le chance di guarigione sono più alte. «Nel tumore del colon-retto la mortalità a trenta giorni dall’intervento passa dal 15% a meno del 5% quando il volume di attività raggiunge almeno cinquanta interventi all’anno, ma ciò avviene solo in 177 strutture su 805 - dichiara Carmine Pinto, ordinario all’Università di Parma e presidente dell’Associazione Italiana Oncologia Medica (Aiom) -. Lo stesso discorso vale per altri tumori: da quello dello stomaco a quello del polmone». L’obiettivo finale è evitare le perdite, di tempo e di danaro, e permettere al paziente di arrivare quanto prima alla diagnosi. Di fatto, però, un meccanismo così oleato esiste soltanto in Piemonte, Lombardia (in entrambi i casi dal 2000) e Toscana (dal 2003). Fino al Lazio sono diversi i “cantieri” dove già si lavora per fare rete. Tutti gli altri italiani sono penalizzati nell’accesso alle cure.

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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