Una ricerca evidenzia l'alterazione delle funzioni cerebrali dovuti dalla marijuana anche dopo astinenza
«La marijuana una droga leggera? Può anche raddoppiare il rischio di schizofrenia. La verità è che non esistono droghe leggere o pesanti, è un concetto da superare: sono tutte droghe con effetti deleteri, il rischio e la gravità con cui si manifestano in una condizione patologica sono individuali».
È molto netto Roberto Cavallaro, responsabile dell’Unità per i disturbi psicotici dell'ospedale San Raffaele di Milano, a commento di una nuova ricerca sugli effetti negli adolescenti di questa sostanza. L’Università di Pittsburgh e l’Università dello Stato dell’Arizona hanno preso sotto esame mille ragazzi maschi dai 13 ai 18 anni che facevano un uso regolare di marijuana.
La scoperta più incisiva è che pure dopo un anno di abbandono della cannabis facilmente i giovani continuassero a vivere esperienze subcliniche di paranoia ed episodi di allucinazioni, come quelle osservate durante il consumo continuato.
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IL DANNO AUMENTA CON LA DURATA
Inoltre: per ogni anno in più di uso settimanale della droga, si è visto che la probabilità di sperimentare, ancora dopo dodici mesi di astinenza, sintomi psicotici ‘sotto soglia’ aumentava del 29 per cento.
Quanto a paranoia e allucinazioni la possibilità balzava in alto del 112 e 158 per cento rispettivamente. La ricerca, in pubblicazione sulla rivista American Journal of Psychiatry è importante «perché affina informazioni che avevamo già per quanto riguarda lo sviluppo di una malattia psicotica conclamata», osserva Cavallaro.
Che si spinge in un confronto tra il passato e l’aspetto attuale della marijuana. Allora, quando esplose la liberalizzazione da ogni tabù e l’uso della cannabis si diffuse, l’ “erba” che circolava conteneva al 3 per cento il principio psicoattivo Thc (Tetraidrocannabinolo), mentre oggi la concentrazione arriva anche al 18 per cento, come spiega Cavallaro.
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RISCHIO PSICOSI CRONICA
Inoltre il bacino epidemiologico è cresciuto enormemente da allora, quindi il numero di soggetti esposti che hanno una potenziale predisposizione a sviluppare sintomi e patologie psicotiche a fronte di uno stimolo patogeno più potente è notevolmente aumentato. Il risultato è che adesso questi fenomeni patologici sono clinicamente apprezzabili in un notevole numero di giovani e questo ha spinto la ricerca a studiare meglio il problema in tutte le sue declinazioni.
Lo studio in questione ne è un esempio». «L’alta concentrazione - continua Cavallaro - induce alterazioni funzionali nella corteccia pre-frontale, si chiamano dis-esecutive, e queste sono le stesse alterazioni che si ritrovano con maggiore frequenza nella schizofrenia, la regina delle malattie psicotiche La schizofrenia ha una prevalenza dello 0,7 per cento nella popolazione generale, ma se c’è consumo regolare e ad alti dosaggi di cannabis sale a 1,4, che è il doppio, o anche al 2 per cento. Il rischio è più elevato in soggetti che abbiano una predisposizione genetica e che abbiano usato le dosi più elevate per periodi più lunghi»
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UN’ETA’ FRAGILE
Il rischio riguarda soprattutto gli adolescenti, in quell’età in cui si completa la maturazione del cervello e cresce l’efficienza delle reti neurali. «Il Thc disturba questo processo e nel caso che uno porti in sé una predisposizione biologica alla malattia (che potrebbe anche restare per sempre non manifesta) o abbia esperienze ‘psychotic-like’, gli esiti possono essere appunto quello di sviluppare la malattia completa, o comunque una psicosi cronica simile alla schizofrenia.
Oppure, anche, come indicano i ricercatori in questo studio americano, fenomeni ‘sotto soglia’ diagnostica. Queste stesse esperienze ‘simil-psicotiche’ sporadiche e non organizzate in una malattia sono però esse stesse fattori di rischio caratterizzanti i cosiddetti ‘high risk states’ e cioè persone che hanno una elevata probabilità di passare da sintomi sporadici all’esordio di una patologia psicotica conclamata».
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ADULTI MENO ESPOSTI
E se non si ha una predisposizione genetica nessun danno dalla marijuana? «Alcuni studi hanno seguito negli anni delle persone dedite a un uso continuato anche se sporadico: si sono osservate carriere scolastiche e lavorative peggiori rispetto ai gruppi di controllo».
Lo psichiatra del San Raffaele richiama uno studio neozelandese di quattro anni fa in cui è stata seguita una “coorte” nel tempo dai 13 ai 38 anni. «Le persone che hanno continuato ad assumere la droga, a 38 anni risultavano aver perso 5 punti di quoziente intellettivo. Ma all’interno di questo gruppo si è evidenziata una distinzione: se la persona aveva cominciato a prendere la cannabis in età adulta, nel caso smettesse i 5 punti si recuperavano.
Non così per chi aveva cominciato nell’adolescenza: i 5 punti risultavano irrecuperabili». Nell’indagine delle Università di Pittsburgh e dell’Arizona si è visto che il rischio di avere sintomi psicotici prendendo marijuana cresceva col crescere del tempo della droga. «In particolare aumentava del 21 per cento per ogni anno, in capo a cinque anni si copre in pratica il 100 per cento dei casi. E la persistenza di tali sintomi anche dopo un anno di astinenza suggerisce che il consumo della cannabis abbia cambiato il funzionamento del cervello degli adolescenti».
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SAPERE VUOL DIRE PREVENIRE
L’esperienza clinica degli ultimi 15 anni ha portato il dottor Roberto Cavallaro ad un impegno educativo al di fuori del contesto clinico per fare conoscere queste realtà sulla ‘droga-che-non-fa-niente-di-male’, per rendere consapevoli le persone, ed in particolare gli adolescenti, circa il rischio fin qui descritto e l’azione in ogni caso deleteria per un cervello in sviluppo dei derivati della cannabis, soprattutto quando assunti in modo continuato e ad alte dosi. Non si sottrae a riunioni pubbliche, va nelle scuole. «Informare è opera di prevenzione, per cercare di ridurre il numero degli esposti al rischio.
A volte in questi incontri faccio il parallelo con il cancro al polmone: forse io vi sono predisposto, ma se fumo è molto più facile che quella predisposizione salti fuori e si ‘avveri’. Così per l’altro “fumo”, quello della cannabis, nei confronti della schizofrenia». Conclude Cavallaro: «Purtroppo la banalizzazione che assolve la cannabis è molto diffusa, come il mito delle ‘poche sigarette’ per il cancro. Ed esattamente come non è necessario fumare, non è nemmeno necessario fumare cannabis…».
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Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.